Un apprendimento molto rapido viene facilmente confuso con una conoscenza innata e immediatamente disponibile. Numerosi e autorevoli studiosi dello sviluppo del linguaggio ritengono che la maggior parte della struttura "profonda" di una lingua naturale debba essere ereditaria, in quanto sembra impossibile che un bambino impari così tanto in un tempo così breve. Un esperimento cruciale, e non eticamente corretto, fu tentato dal re Giacomo IV di Scozia (1473-1513), abbandonando due fanciulli sull'isola di Inchkeith e facendoli accudire da una nutrice muta: si tramanda (anche se ciò non è universalmente accettato per vero) che i ragazzini, spontaneamente, abbiano iniziato a parlare ebraico con accento scozzese! Per duemila anni i metafisici hanno sostenuto la loro ipotesi, secondo cui vi è una conoscenza innata, facendo riferimento alla matematica - in particolare alle proprietà spaziali della geometria euclidea -, poiché in essa fatti nuovi venivano scoperti non mediante osservazioni o esperimenti bensì studiando diagrammi e manipolando simboli.
Solamente a partire dal lavoro del grande matematico tedesco Carl Friedrich Gauss (1777-1855) è divenuto evidente che le scoperte matematiche appartengono a una categoria speciale, in quaanto non rappresentano la conoscenza di oggetti ma piuttosto di correlazioni "possibili" o "impossibili".
Gauss fu tra i primi a rendersi conto che la geometria possibile non è soltanto una - quella euclidea - ma che se ne possono inventare altre, altrettanto coerenti.
Pertanto, domandarsi quali assiomi delle geometrie così elaborate approssimino meglio il mondo in cui viviamo costituisce una questione di natura empirica (ed è stata avanzata l'ipotesi che lo spazio visivo sia non euclideo).
Il principale sostegno alla tesi di una conoscenza a priori degli oggetti nello spazio è crollato con l'introduzione di geometrie alternative.
Oggi si ritiene che né la matematica né la logica forniscano fatti nuovi concernenti il mondo che ci circonda, nel senso che i fatti sono scoperti per mezzo di osservazioni.
In breve, la conoscenza ha inizio con l'esperienza, anche se la matematica e la logica sono estremamente importanti nel consentire di effettuare controlli e trarre conclusioni da modelli mentali che potrebbero fornire una descrizione adeguata della realtà.
Gli animali, posti di fronte a molti oggetti e a svariate situazioni, rispondono in modo appropriato, anche se è la prima volta che li incontrano: ma ciò non fa di loro dei "metafisici".
Questo loro comportamento è legato all'ereditarietà, in quanto loro possiedono una conoscenza di disastri ancestrali acquisita di generazione in generazione, mediante la selezione naturale, la quale beneficia gli individui che presentano il comportamento più adeguato, e sopravvivono trasmettendo tale utile conoscenza attraverso i loro geni.
Il codice genetico può modificarsi per selezione naturale allo scopo di fornire una conoscenza ereditaria agli individui, anche se quanto i progenitori hanno appreso individualmente nel corso della loro vita va perduto.
Gli animali che si trovano a un livello molto basso nella dell'evoluzione reagiscono quasi esclusivamente con riflessi spontanei, non basati sull'apprendimento; d'altronde la loro gamma comportamentale è assai ristretta, ed essi rispondono per stereotipi.
In effetti, alcuni insetti, e in particolare le api, mostrano un apprendimento legato alla percezione: per esempio, individuando la collocazione dell'alveare o la zona dove il nettare è più abbondante - tutte conoscenze che non possono essere acquisite in modo innato.
La disposizione dei petali che conducono al nettare si è invece venuta costruendo per ereditarietà nel cervello delle api, cosicché quelle prive della capacità visiva di riconoscere i fiori muoiono per mancanza di miele.
In questo caso ci troviamo in presenza di una miscela di conoscenze innate e di conoscenze apprese.
Considerando i neonati della specie umana, si incontrano parecchie difficoltà nel cercare di stabilire quali conoscenze siano presenti alla nascita e quali debbano essere apprese: difficoltà dovute sia al fatto che gli esperimenti che si possono condurre sui neonati sono assai limitati, sia la fatto che i bebé presentano, a loro volta, un comportamento assai poco coordinato.
Fino ai tempi recenti quasi tutto quanto si conosceva sull'apprendimento visivo veniva desunto da studi su cuccioli di animali. Oggi vi sono, però tecniche efficaci e innocue per giungere ad apprendere dai neonati stessi quanto essi sono in gardo di vedere.
Tratto da: OCCHIO E CERVELLO - La psicologia del vedere; RICHARD L. GREGORY